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Il ruolo della diplomazia Tavola rotonda al Circolo degli Esteri
Nell'era della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica stiamo assistendo a un processo irreversibile di perdita di importanza della diplomazia e del ruolo del diplomatico? E se questo assunto è vero, quali mezzi si pongono di fronte ai diplomatici per contrastare questa tendenza e per rilanciare il proprio ruolo di fronte all'opinione pubblica? Attorno a queste domande, venerdì 14 ottobre, al Circolo del Ministero degli Affari Esteri si è svolta una tavola rotonda a cui hanno partecipato, su iniziativa del SNDMAE - il sindacato maggioritario dei diplomatici italiani - rappresentati autorevoli delle diplomazie di Stati Uniti, Francia, Spagna e, naturalmente, della Farnesina. Insieme al Presidente del SNDMAE, Maria Assunta Accili, ad animare il dibattito sono convenuti a Roma l'Ambasciatore Gérard Errera, già Segretario Generale del Quai d'Orsay, nonché Ambasciatore francese a Londra e rappresentante permanente di Francia presso la NATO; Susan Rockwell Johnson, in passato Capo missione USA a Bucarest e Senior Advisor del Ministro degli Esteri iracheno durante l'Autorità provvisoria della Coalizione, da due anni Presidente di quell'American Foreign Service Association che con i suoi 16.000 iscritti è probabilmente la maggiore associazione diplomatica al mondo; e il Segretario e Tesoriere della Giunta esecutiva dell'Asociacion de Diplomaticos espaňoles, Pablo Nuňo Garcia, Consigliere diplomatico del Ministro della casa e delle politiche urbane del governo di Madrid. Il vertice dell'Amministrazione della Farnesina era rappresentato alla Tavola rotonda dal Direttore Generale per gli Affari Politici, Ambasciatore De Bernardin. Tutti gli interventi hanno sottolineato il paradosso di una situazione in cui, a fronte dell'emergere di problemi su scala internazionale che presentano conseguenze, in un mondo sempre più globalizzato, su tutti i Paesi del mondo, paradossalmente l'importanza dei diplomatici, ovvero dei tradizionali protagonisti dell’azione di politica estera deliberata dai Governi, è venuta sempre più declinando, almeno nella considerazione dell'opinione pubblica e degli stessi interlocutori primari dei diplomatici, i decision makers, i titolari del potere politico che troppo spesso ignorano le dinamiche della funzione diplomatica. Soprattutto appare a tutti molto arduo trovare un equilibrio tra globalizzazione e localismi, tra contrastanti interessi interni, tra confidenzialità e trasparenza, tra diplomazia di Stato e diplomazie settoriali pubbliche e private affidate ad una molteplicità di attori non sempre disposti ad assoggettarsi ad un coordinamento, tra produttività e quantificazione di risultati immateriali. E' singolare che in un'epoca in cui la domanda di politica estera si è fatta più pressante, con la moltiplicazione delle fonti di informazioni e degli attori della politica internazionale, l'importanza dei diplomatici, non più avvertiti come depositari del sapere di politica internazionale, si sia drasticamente ridotta, al pari della quota stanziata dai singoli Stati per la politica estera che ha ovunque, in tutto il mondo occidentale, un'incidenza trascurabile sul PIL. ll malessere di cui soffre la carriera diplomatica a livello internazionale è comunque condiviso dalle altre categorie dei Civil servants. Tutta la Pubblica Amministrazione, almeno nei Paesi occidentali, fronteggia una mancanza di legittimazione mai avvertita in passato almeno in queste dimensioni. I problemi con cui si confronta la carriera diplomatica sono, infatti, principalmente d'ambito interno, non sono problemi di ordine internazionale. Unicamente, a fronte della necessità della riaffermazione di fronte all'opinione pubblica della necessità di un servizio pubblico solido che operi in favore dei cittadini, la diplomazia ha un'ulteriore problema nell'affermare la propria identità dinanzi all'opinione pubblica: il disinteresse che questa nutre nei confronti della politica estera. I media si disinteressano alla politica estera e accendono i propri riflettori su di essa unicamente quando essa ha un impatto decisamente domestico o quando fallisce. La "crisi" della diplomazia non è comunque solo una crisi di legittimità. I diplomatici hanno subito quasi ovunque un’attenuazione del proprio ruolo nel processo decisionale. Ci sono altri attori, altri soggetti internazionali, agenzie, ONG, che esercitano un peso maggiore sullo scenario internazionale e la cui autorevolezza è riconosciuta unanimemente. La riduzione dell'influenza dei diplomatici si accompagna, da un lato, alla diminuzione del peso dei Dicasteri preposti ed alla tendenza alla militarizzazione della politica estera e, dall’altro, alla concentrazione delle decisioni presso gli Uffici dei Capi di Governo. I tempi dettati dalla rivoluzione tecnologica e dall'irruzione sulla scena dei nuovi media hanno inoltre accelerato i processi decisionali, sminuendo la funzione di ponderazione dei fattori decisivi che rappresentava il sistema classico di lavoro dei diplomatici. D’altro canto si e’ accresciuto significativamente nei rapporti internazionali il ruolo dei titolari dell'Esecutivo che intervengono direttamente in tutte le questioni un tempo gestite, quanto meno a livello negoziale, dai Ministeri degli Esteri, mentre le Amministrazioni “tecniche” che operano sempre più direttamente con i propri corrispondenti stranieri, non di rado ignorano la visione complessiva in cui dovrebbero muoversi per non danneggiare altri e non meno rilevanti interessi nazionali. Parallelamente risulta amplificato il ruolo dei portavoce dell'Esecutivo stesso, titolari del compito di spiegare all'opinione pubblica le scelte del Governo e prevale un effetto annuncio su tematiche che una buona diplomazia normalmente tratta come risultato di processi che comprendono fasi di consultazione, studio e negoziazione, prima ancora che di comunicazione dei risultati. Esiste anche, a giudizio degli intervenuti, l’esigenza di un cambiamento di cultura negli ambienti diplomatici, di una maggiore apertura verso il mondo esterno che consenta di far percepire il valore aggiunto del ruolo dei diplomatici e permetta di riaffermare il principio che “investire nella diplomazia sia vitale per gli interessi nazionali”, com’è ampiamente dimostrato dall’approccio dei Paesi in forte crescita. Fin qui il cahier de doléances emerso dalla tavola rotonda che ha fatto però anche emergere quanto resti fondamentale il ruolo dei diplomatici. Una rivendicazione di competenza e professionalità insostituibile poiché, se è venuto meno il monopolio della funzione, non è in alcun modo diminuita la responsabilità di rappresentare il Paese nel suo complesso e di interpretare, in un mondo sempre più complicato, pervaso da conflittualità economica, da nuovi nazionalismi, protezionismo, xenofobia, terrorismo, le ragioni del dialogo, del negoziato, della mediazione e dell'ascolto reciproco. La diplomazia va quindi interpretata anche come antidoto all'insorgenza di questi fenomeni negativi e potenzialmente distruttivi. Il primo decennio del nuovo secolo ha dimostrato come, a fronte della violenza con cui si affrontano i problemi di sicurezza posti dal mutamento dello scenario globale, puntare sulla diplomazia sia un investimento insostituibile, nonostante la grave crisi economica in atto e forse proprio in ragione di essa. Investire in diplomazia ha sicuramente un costo inferiore rispetto alla scelta di soluzione aggressiva e militare delle controversie. Non a caso le nazioni emergenti - Cina, India e Brasile - stanno investendo massicciamente nel potenziamento della propria diplomazia, a tutela e a promozione delle rispettive ambizioni. Il problema reale con il quale si confrontano le diplomazie occidentali è un aumento delle ambizioni a fronte di una drastica diminuzione delle risorse. Ed è parere condiviso dei presenti che il dialogo su questi comuni problemi ne possa favorire la soluzione in una comune dimensione. Autonomamente le singole Amministrazioni degli Esteri e le rispettive carriere diplomatiche hanno già inaugurato processi di autoriforma e di adeguamento delle strutture e delle funzioni alle realtà dettate dall’evoluzione della situazione internazionale. La risposta primaria all’insorgere ed all'accelerazione dei processi e dei problemi globali è quella di ritagliare un nuovo ruolo alla diplomazia con la D maiuscola e l’iniziativa di confrontare le opinioni per tentare una sintesi di generale utilità ai diplomatici e’ sicuramente meritevole di approfondimento e prosecuzione. La risposta alla perdita di legittimità di fronte all'opinione pubblica richiede invece uno sforzo nel senso dell'aumento dell'autostima per affrontare la situazione. I diplomatici devono riacquistare un orgoglio di categoria e rifuggire dal vittimismo che costituisce una facile possibile deriva in questa congiuntura. Essi devono cambiare linguaggio per rendersi accessibili all'opinione pubblica, per ristabilire la propria autorevolezza nei confronti dei titolari delle scelte politiche, per spiegare, al di là di qualsiasi velleità corporativa, il valore del proprio ruolo al servizio dei rispettivi Paesi e sfatare gli stereotipi stantii del genere di vita che conducono comunicando la realtà del loro quotidiano, spesso difficile ed irto di rischi e sacrifici che toccano famiglie, relazioni e interessi personali. E su quest’ultimo punto è anche intervenuta la dottoressa Cerboni, rappresentante dell'Associazione Consorti dei Dipendenti del Ministero Affari Esteri, che ha recato testimonianza dell'esperienza dei congiunti e delle sfide poste dalla funzione diplomatica alla vita degli individui. L'iniziativa del ristabilimento dell’”orgoglio diplomatico”, com’è stato definito dai presenti, non può che partire dal basso, dallo scambio fra attori delle diplomazie interessate, che riuniti in un network di rilievo maggiore quanto più esteso, possano mobilitare le singole Amministrazioni per correggere la percezione esterna della loro funzione. Se la discrezionalità e una certa dose di segretezza sono componenti essenziali ed immutabili della professione e del servizio diplomatico, la nuova sfida che attende i diplomatici soprattutto occidentali è quella di ritagliarsi un’immagine pubblica basata sui servizi offerti ai cittadini e alle imprese che consenta di migliorare la fiducia nell'azione diplomatica. Se le pubbliche opinioni sembrano maggiormente interessate a problemi che vanno dalle mutazioni climatiche, alla lotta alla fame nel mondo, dalle crisi finanziarie, ai fenomeni migratori, può essere utile spiegare quanto i diplomatici lavorino costantemente su questi temi sia sul piano bilaterale che su quello multilaterale. E' cioè necessario che le diplomazie spieghino quali contributi esse portano alla soluzione di questi problemi. Non si tratta certo di un compito facile, perché i cittadini generalmente ignorano le dinamiche di questi processi e quale sia il vero lavoro dei diplomatico; i media non lo spiegano e c'è necessità di maggiore comprensione per contrastare il declino di una funzione che normalmente si accompagna al declino degli stati e delle società. E’ peraltro anche osservato che in moltissimi Paesi si è assistito a processi di “democratizzazione” della diplomazia in termini di facilità di accesso e di apertura alla partecipazione delle donne e delle minoranze etniche o religiose. La carriera diplomatica si è aperta alla collaborazione con diverse professionalità per beneficiare delle specialità di settore sempre più necessarie per migliorare la visione d’insieme e quindi la salvaguardia degli interessi nazionali. Se la diplomazia va cambiando, occorrono ancora degli sforzi perché i diplomatici escano dall’isolamento dei propri Ministeri per immergersi nella realtà dei propri Paesi come riescono tradizionalmente a fare nei Paesi di destinazione. Provocatoriamente ci si è domandato durante la tavola rotonda, quante ore dedichino i diplomatici a rendersi pubblici. Poche, è stata la generale risposta e tutti hanno convenuto che si debba fare di più e meglio. Sebbene la discussione sia stata condotta in termini teorici, molti esempi pratici sono stati evocati per sopperire al deficit di comunicazione che colpisce le diplomazie: dal lancio di programmi di approfondimento televisivi su best practice in aree di crisi, all’accorto utilizzo dei social network per raccontare casi risolti, episodi di vita e vicende che rendano la figura dei diplomatici più aderente alla realtà. Si e’ anche parlato di iniziative in apparenza singolari quali la pubblicazione di libri a carattere divulgativo o la creazione di musei interattivi o virtuali che raccontino la parte svolta dai diplomatici per il raggiungimento dei risultati e dei progressi conseguiti dalle rispettive Nazioni. E’ cioè opinione diffusa dei presenti che si debba puntare a farsi conoscere in termini generali e permanenti. Perché l'interesse generale è l'orizzonte della funzione del diplomatico. Al termine della Tavola rotonda il Presidente del SNDMAE, Accili, dopo aver ringraziato i partecipanti, ed in particolare gli ospiti stranieri, ha auspicato la ripetizione dell'esperienza dell'incontro romano, allargando ulteriormente in futuro il numero e la provenienza dei partecipanti stranieri ed italiani.
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