"L'Espresso", 19 maggio 2011, p. 61
AGGIUNGI UN POSTO ALL'ONU
L'attivismo del G4 per avere un seggio in Consiglio di
Sicurezza. E lo stop di altri Paesi. Con l'Italia in prima fila
Colloquio con Cesare Maria Ragaglini di Antonio Carlucci
Negoziato, consenso e compromesso. Sono le parole che si
ascolteranno con maggiore frequenza a Roma lunedì 16 maggio quando cento
delegati di altrettanti Paesi, due terzi dei quali a livello di ministro o vice
ministro, parleranno di Nazioni Unite e di Consiglio di sicurezza. Negli ultimi
due mesi c'è stata una serrata battaglia diplomatica all'Onu. Da una parte il
G4, ovvero Giappone, Germania, India e Brasile, che reclamano un seggio
permanente nel Consiglio di sicurezza; dall'altra quelli che si riconoscono
nella sigla Uniti per il consenso e dove l'Italia svolge un ruolo di primo
piano, che puntano a una riforma trasparente e condivisa.
"L'Espresso" ha chiesto all'ambasciatore italiano all'Onu Cesare
Maria Ragaglini di raccontare che cosa è accaduto e le prospettive.
Come e quando è cominciato questo confronto?
«Quando Barack Obama, in viaggio in India, ha detto che
era giusta l'aspirazione di quel Paese ad avere un seggio permanente nel
Consiglio di sicurezza, se e quando ci fosse stata una riforma».
Che cosa è accaduto subito dopo?
«Il G4, con l'India determinata a sfruttare il momento,
ha cominciato a far circolare una risoluzione da presentare al voto
dell'Assemblea generale perché fossero creati subito nuovi membri permanenti e
non. Con l'idea sottintesa che i posti fossero già del G4 e dimenticando che è
in corso una trattativa».
L'India è determinata. E gli altri?
«La Germania è cauta ma decisa su questa strada, il
Giappone decisamente guardingo, il Brasile attendista, ma sulla scia
dell'India. In incontri bilaterali e multilaterali hanno cominciato a
raccogliere firme per una risoluzione che in aula avrebbe bisogno di due terzi
dei voti, ovvero 128 sì».
Li hanno raccolti?
«Nella prima settimana una quarantina di adesioni, ma
l'obiettivo di ricevere l'ok dai 53 Paesi africani non è stato raggiunto.
Soprattutto, per la reazione di chi non è d'accordo».
Chi si è messo di traverso?
«Il gruppo che si raccoglie sono la bandiera United for
consensus dove l'Italia gioca un ruolo da protagonista e che ha presentato già
le sue proposte di riforma».
Come vi siete mossi?
«Abbiamo parlato con i rappresentanti di altri Paesi,
singolarmente o in gruppo. lo ho praticamente incontrato tutti i Paesi membri
dell'Onu. Abbiamo poi coinvolto sulla questione i cinque permanenti. La Cina ci
ha sostenuto apertamente, Russia e Usa hanno capito la nostra posizione,
Francia e Gran Bretagna sono con il G4 ma unicamente per evitare che in futuro
venga messa in discussione il loro seggio. A questo punto la raccolte di firme
si è praticamente fermata».
Sono rimasti in 40?
«Sono arrivati a una sessantina di sì, ma qualcuno si è
tirato indietro: due Paesi dell'area del Pacifico e due dei Caraibi».
Che cosa ha funzionato nel confronto con il G4?
«Molte cose. Intanto, non è stata vista con favore una
certa arroganza nel chiedere le firme e nel dire che ormai c'era un accordo
larghissimo intorno al G4. Diciamo la verità, l'India si è mossa come un
elefante in una cristalleria. Ma hanno giocato a favore di chi vuole una
riforma frutto di un vero negoziato l'iniziativa dei governi, compreso quello
italiano che si è attivato attraverso lettere e telefonate, con l'incarico agli
ambasciatori nei singoli Paesi del mondo di entrare in contatto con i governi
locali e spiegare le nostre ragioni. Infine, anche il presidente Giorgio
Napolitano ha giocato il suo ruolo».
Che cosa c'entra Napolitano?
«Nel discorso all'Onu del 28 marzo, il passaggio sul
Consiglio di sicurezza è stato molto apprezzato, perché ha fatto appello alla
capacità di compromesso e ha sottolineato la necessità che tutti possano
riconoscersi in una riforma del Consiglio di sicurezza».
La riunione di Roma sancisce la fine del tentativi del
G4?
«No, insisteranno ancora ma con molte più difficoltà.
Però, è stato bloccato l'effetto valanga e la voglia di andare subito a un voto
senza che ci sia un vero negoziato e un compromesso».